Coronavirus: perchè i virus nascono in Asia (articolo tratto da vempveneto.it)

149* 08 luglio 2020

(Dal sito vempveneto.it, sindacato italiano veterinari medicina pubblica)

Dai mercatini al mondo intero…
Perché i virus nascono in Asia.

Dalle ondate di aviaria, che dal 1996 si sommano l’una all’altra, fino alla letale Sars.

Il virus si è diffuso a partire da un mercato del pesce che “ha effettuato transazioni illegali di animali selvatici”, ha spiegato Bin Li, numero due della Commissione sanitaria nazionale cinese.

«I virus che ci colpiranno in futuro esistono già. Se ne stanno in agguato nelle giungle dell’Africa o nei mercati dell’Asia». Lo diceva cinque anni fa la direttrice dell’Organizzazione mondiale della sanità Margaret Chan. La sua è stata una profezia facile. Mentre l’Africa continua a combattere con Ebola, l’Asia è diventata la fucina di molte fra le epidemie più contagiose degli ultimi anni.

La sorgente dei nuovi microbi
Dalle ondate di aviaria, che dal 1996 si sommano l’una all’altra, fino alla più letale Sars, che nel 2002-2003 ha causato quasi 800 morti, passando per il virus Nipah che è partito nel 1998 in Malesia, infetta il cervello e lascia poche chance di guarigione: l’Asia ha l’aspetto di un pentolone che ribolle di microbi nascenti.

«La parte orientale del continente è considerata il ground zero delle nuove malattie virali» conferma Robert Peckham, che insegna Humanities and Medicine all’università di Hong Kong e ha scritto nel 2016 Epidemics in Modern Asia. «Può sembrare un pregiudizio, ma ci sono motivi reali per cui questa regione è più suscettibile di altre ai nuovi tipi di infezione».
Primo: «Il tasso di sviluppo eccezionale».
Secondo: «Il mantenimento di pratiche tradizionali nonostante la modernizzazione rampante. Mi riferisco alla scelta di mangiare determinate specie di animali e alla predilezione per i mercati popolari».

I mercati “bagnati”
Sono esattamente i mercati cui si riferiva Chan. Spesso all’aperto, in spazi strettissimi, vi si vende di tutto. In inglese si chiamano “wet markets” e in Asia sono diffusissimi.
Il perché di quel termine “bagnati” lo spiega la virologa Ilaria Capua: «Teste di animali appena macellati, liquidi biologici, tutto mescolato per terra, dove giocano i bambini e razzolano gli animali ancora vivi» racconta la scienziata dell’università della Florida, autrice di Salute circolare.
Capua dieci anni fa ha passato in rassegna i virus del pollame venduto in alcuni mercati tradizionali di Lahore, in Pakistan, trovando diversi campioni contaminati. Né il suo è l’unico esperimento del genere. “Wet markets” e “Asia” sono le parole di accesso a un mondo di studi scientifici popolato dalle merci e dai microrganismi più vari. E in cui il mercato di Wuhan compare a più riprese.

Gli animali incubatori
Sette malattie infettive su dieci, fra quelle che colpiscono gli uomini, nascono negli animali. L’Hiv era diffuso fra gli scimpanzé prima di infettare noi. Ebola parte dai pipistrelli e in qualche modo, in qualche momento, impara ad adattarsi al nostro organismo. Le varie influenze aviarie ci contagiano partendo da uccelli selvatici e migratori. Si stima che solo mammiferi e volatili ospitino 1,6 milioni di virus ignoti, la metà dei quali potenzialmente pericolosi per l’uomo.

Il salto di specie
Come a un certo punto i microrganismi decidano di fare “il salto di specie” e contagiarci resta quasi sempre un mistero. Ma è certo che trovarsi in un mercato tradizionale asiatico aiuta. «Gli acquirenti chiedono cibo fresco. Scelgono l’animale da vivo e il venditore lo macella davanti a loro» spiega Alberto Laddomada, direttore generale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sardegna ed ex responsabile per la legislazione sulla sanità animale dell’Unione europea. La passione dei clienti per gli animali più rari porta sulle stesse bancarelle o nelle stesse gabbie zibetti e civette delle palme, serpenti e pesci. I frequentatori del mercato di Wuhan raccontano di coccodrilli, porcospini e cervi. Se gli animali restano invenduti, è prassi riportarli all’allevamento di origine. «Un gesto particolarmente apprezzato è quando il venditore raccoglie il sangue dal collo dell’animale appena ucciso e lo offre all’acquirente». Se quel sangue conteneva un virus, non si può immaginare un metodo di contagio più efficace di così.

Le epidemie prendono il volo
In una di queste bancarelle, alla fine del 2002, il virus della Sars è passato all’uomo. L’origine va ricondotta forse alla civetta delle palme (un piccolo roditore asiatico) o allo zibetto. Entrambi sono considerati piatti prelibati e parecchi casi di contagio della Sars, in queste due specie, sono stati riscontrati a posteriori nei “wet markets” del Guangdong, la provincia della Cina meridionale adiacente a Hong Kong. Qui però finisce l’aspetto “rurale” della più rapida e virulenta fra le epidemie moderne. «Siamo in un’area in cui l’urbanizzazione è stata travolgente» spiega Peckham. «Le singole città del Guangdong si sono fuse in un’unica megalopoli da 60 milioni di abitanti». È proprio a Canton, capitale del Guangdong, 12 milioni di abitanti, 1.800 per chilometro quadrato, che viveva e lavorava il dottor Liu Jianlun. Nel suo ospedale ha già trattato alcuni pazienti con la Sars quando, la notte del 21 febbraio 2003, a 64 anni, torna dalla famiglia a Hong Kong e si ferma una notte in albergo. Alla stanza 911 dell’Hotel Metropole (oggi diventata museo) e ai 16 contagi diretti che il dottor Liu provoca prima di morire, risalgono 4 mila casi e 550 decessi per Sars: tre quarti del totale. Un ospite dell’albergo il giorno dopo parte per il Vietnam, dove il virus uccide il medico italiano Carlo Urbani.
Altri clienti volano in Canada, Taiwan, Singapore.

«Possiamo concentrare il nostro sguardo sull’Asia» conclude Peckham. «Ma le malattie emergenti sono e resteranno un problema globale».

 

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