1354* 02 settembre 2025
(Articolo di OSD)
Parassitismo, in termini ecologici, significa che una data specie vive, si nutre e si riproduce a scapito di una specie ospite.
È un percorso promosso dall’evoluzione nel corso della propria selezione che non porta in sé un carattere di tipo morale, rappresenta il frutto di una lunga serie di pressioni evolutive esercitate su alcune specie che ha portato ad una specializzazione dei caratteri di notevole rilevanza.
Il risultato di questo meccanismo è molto vario: alcune specie, infatti, sono parassite di una sola specie ospite, altre devono parassitizzare più specie predefinite, altre ancora possono preferire un’ospite ma occasionalmente sfruttare altre specie da parassitizzare.
In questo senso gli uccelli, come specie ospite, non fanno eccezione e anche l’uomo – direttamente o indirettamente – si trova a condividere con loro una lunga serie di parassiti.
Non si intende esaurire in queste righe l’argomento (sarebbe come minimo presuntuoso), ma solo illustrare due tra i principali parassiti che il professionista formato può incontrare comunemente nel proprio ambito di lavoro.
Il corpo è fortemente appiattito, dotato di quattro paia di zampe, non presenta occhi e il rostro si trova in posizione ventrale. Ematofaga ed ectoparassita di Columba livia ha modificato il proprio stile di vita divenendo via via più endofila e sinantropica.
È una specie perfettamente adattata agli ambienti urbanizzati e la sua presenza è segnalata in quasi tutte le regioni italiane ad eccezione di quelle più meridionali. Il ciclo di sviluppo completo varia in base alle condizioni ambientali tra 1 e 3 anni; le femmine possono deporre fino a un centinaio di uova in tre deposizioni a stagione, solitamente distanziate di 5-6 settimane l’una dall’altra.
Tipicamente il periodo di attività è quello estivo; una sua peculiarità è quella di poter compensare la perdita di acqua assorbendola direttamente dall’atmosfera in condizioni di umidità relativa maggiore del 75%.
Il suo comportamento è guidato da un forte fototropismo negativo che la spinge a cercare zone di rifugio di giorno (crepe, fessure, battiscopa, ecc.…) mentre di notte localizza l’ospite sul quale si nutre tramite particolari chemiorecettori che intercettano l’anidride carbonica emessa dalla respirazione.
Il pasto di sangue negli adulti è molto rapido (circa 20-30 minuti) e il periodo in cui può restare a digiuno è da record: 7 anni.
In caso di grandi infestazioni o in mancanza di piccioni da parassitizzare, può attaccare l’uomo e questo lo rende uno degli acari con grande valenza sanitaria.
La puntura può causare rush cutanei e lesioni eritemato-papulose. Mentre è escluso che possa trasmettere la malattia di Lyme, le reazioni secondarie che possono verificarsi possono essere tossiche o anafilattiche (compreso lo shock anafilattico) anche se di norma le manifestazioni più gravi sono imputabili a una serie ripetuta di attacchi.
L’acaro pollino adulto misura circa 1-1,5 millimetri e il colore varia tra il grigio e il bruno-rossastro a seconda che si sia nutrito o meno. Il ciclo di sviluppo si articola in larva, due stadi ninfali e quello adulto. La larva può non nutrirsi mentre dalla ninfa in avanti per passare da uno stadio all’altro deve compiere un pasto di sangue. L’intero ciclo in condizioni favorevoli si completa in circa due settimane.
Gran parte del ciclo vitale è svolto vicino all’ospite, in zone di rifugio come fessure, in cui si aggregano molti individui guidati da feromoni di aggregazione. Di notte gli acari localizzano l’ospite tramite vibrazioni, calore ed emissione di anidride carbonica; da adulto può sopravvivere fino ad oltre nove mesi senza nutrirsi. In allevamenti in gabbia che presentano infestazione da D. gallinae si stima che possano insistere su un solo capo tra i 50.000 e i 500.000 acari. Oltre alle galline, è stato dimostrato che possono attaccare oltre 30 specie di uccelli (tra cui il colombo) e altri animali inclusi animali domestici e uomo. La loro valenza sanitaria è legata al fatto che possono fungere sia da vettore meccanico che da vettore competente di malattie e zoonosi derivanti da batteri e virus.
La letteratura scentifica a riguardo è molto poca – il sospetto è che casi del genere siano assai più frequenti di quanto si pensi- ma esistono casi documentati di pazienti ricoverati che sono stati attaccati da acari derivanti dalla presenza di nidi di piccione nelle vicinanze: alla rimozione del nido a seguito di una disinfestazione dei locali si sono risolti anche i sintomi legati all’acariosi. D. gallinae presenta una fortissima variabilità genetica ed è dotato di una plasticità genetica che lo rende capace di adattarsi ad ospiti occasionali ed evolvere anche in funzione delle sostanze attive alle quali viene esposto: fin dal 1997 sono stati infatti segnalate in Europa popolazioni resistenti a molecole quali la permetrina e i carbammati.
A fronte della necessità di contrastare la presenza di questi organismi è sempre valido il consiglio di determinare grado e causa dell’infestazione con un sopralluogo condotto da un professionista formato. Il primo approccio deve essere quello dell’allontanamento dei volatili dalle strutture, della rimozione dei nidi quando possibile e procedere a una bonifica. Solo successivamente occorre identificare quale prodotto e tecnica potranno essere adottati e i relativi meccanismi per limitare l’esposizione a sostanze (attive o inerti) di persone e animali non bersaglio oltre a controllare che l’etichetta del prodotto scelto riporti sia l’animale bersaglio (acari) che l’ambiente da trattare.
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