La Leptospirosi nella specie bovina

1048* 19 febbraio 2024

(Articolo tratto da ruminantia.it)

La leptospirosi è una malattia infettiva, contagiosa, sostenuta da batteri appartenenti al genere Leptospira. È una patologia che ha un’importanza sanitaria notevole in quanto è causa di sterilità e aborto, oltre ad essere una temibile zoonosi.

L’infezione, che ha una diffusione mondiale, è stata descritta in almeno 160 specie di mammiferi. Nel 2019 Vincent et al., con un poderoso lavoro di sequenziamento del DNA, ha riorganizzato la classificazione del genere Leptospira identificando 68 specie e più di 300 sierotipi. Naturalmente solo una parte di essi è patogena per gli animali e per l’uomo. In Europa, i principali sierotipi circolanti sono Hardjo, Grippotyfhosa, Icterohaemorrhagiae, Pomona, Bratislava, Ballum, Tarassovi e Canicola. Nel bovino i sierotipi più comuni sono L. hardjo e L. pomona.

Le leptospire sono dei batteri spiraliformi, di appena 0,1 μm di diametro ma lunghi oltre 20 μm. Le estremità sono ad uncino e possiedono dei flagelli che ne conferiscono la mobilità. La struttura somatica è tipica dei batteri, con la membrana citoplasmatica e lo strato di peptidoglicano intimamente associati.

Lo strato esterno, composto principalmente da lipopolisaccaridi (LPS), le accomuna antigenicamente e strutturalmente ai batteri Gram negativi, sebbene i LPS delle leptospire siano molto meno tossici per gli organismi animali. Leptospira è un batterio aerobio obbligato che ha una temperatura ottimale di sviluppo intorno ai 28° – 30°C. Resiste a lungo negli ambienti umidi ma è rapidamente inattivato dal calore e dai comuni disinfettanti.

Le leptospire penetrano attivamente nell’organismo ospite, aiutate dai flagelli, attraverso delle micro-abrasioni o soluzioni di continuo della cute (specie se bagnata) e le mucose integre. Raggiunge quindi, attraverso la circolazione ematica, tutti i distretti dell’organismo.

La batteriemia ha una durata di una o due settimane. Le prime lesioni sono sempre a carico dell’endotelio dei piccoli vasi sanguigni e questo comporta delle lesioni ischemiche localizzate a livello di diversi organi e apparati. Durante la fase iniziale della malattia, alcuni sierotipi possono produrre emolisine che provocano una potente emolisi intravascolare seguita da emoglobinuria.

Questo è un evento raro nei bovini adulti ma piuttosto comune nei vitelli. Dopo la batteriemia, le leptospire si localizzano in maniera persistente nei reni e a livello dell’apparato genitale da cui possono essere eliminate per lunghi periodi attraverso l’urina, il materiale seminale, i liquidi placentari e uterini e il latte.

La principale modalità di trasmissione della leptospirosi è rappresentata dal contatto diretto con l’urina. Una modalità secondaria è costituita da fonti ambientali contaminate, in particolare dove sia presente dell’acqua stagnante.

Dal momento che le specie di mammiferi sensibili all’infezione sono molto numerose, la fonte contaminante primaria può essere identificata con gli animali domestici o selvatici.

Come abbiamo già detto, l’ingresso della leptospira nell’organismo avviene in maniera attiva attraverso la cute con micro-abrasioni, in particolare a livello di cercine coronario, oppure attraverso le mucose integre. A livello genitale, la trasmissione di leptospira può avvenire attraverso il coito, dal toro alla vacca e viceversa. La fecondazione artificiale e l’embryo-transfer sono delle modalità di trasmissione molto efficaci, sebbene il rischio reale sia veramente minimo.

La leptospirosi bovina può manifestarsi con due “sindromi” abbastanza distinte: una forma accidentale e una forma che potremmo definire tipica. Quest’ultima si trova indicata negli articoli in lingua inglese come “adapted bovine leptospirosis” mentre la prima come “accidental bovine leptospirosis”.

La leptospirosi accidentale è sostenuta dai sierotipi propri di altri animali domestici e selvatici che infettano accidentalmente il bovino. Pomona, Grippotyphosa e Icterohaemorrhagiae sono quelle più comunemente identificate nelle infezioni accidentali del bovino e sono trasmesse principalmente da suidi, roditori e selvatici.

La leptospirosi in forma clinica acuta e grave, caratterizzata da temperatura febbrile, ittero, anemia emolitica ed emoglobinuria, è piuttosto rara nei soggetti adulti e più comune nei vitelli. Spesso è sostenuta da sierotipi accidentali che determinano principalmente aborto poche settimane dopo la fase acuta della malattia (batteriemia).

La leptospirosi sostenuta da ceppi adattati raramente evolve in forma grave. È molto più comune la forma subclinica, caratterizzata da segni molto blandi fatta eccezione per una improvvisa agalassia che viene spesso riportata nei focolai in atto. Il sierotipo Hardjo è senza dubbio quello più adattato alla specie bovina e che sostiene comunemente questa tipologia di manifestazione.

Entrambe le sindromi possono evolvere nella forma cronica, caratterizzata da un andamento clinico silente ma con una serie numerosa di manifestazioni patologiche a carico dell’apparato genitale. L’aborto tardivo è sicuramente la manifestazione clinica più evidente e temuta, sebbene la leptospirosi cronica sia frequentemente associata ad altri disturbi della fertilità come i ritorni in estro ripetuti e alti tassi di perdita precoce della gravidanza.

Ritornando all’aborto, nonostante nessun segno possa essere considerato patognomonico, e quindi il ricorso al laboratorio sia sempre necessario per confermare eziologicamente un aborto da leptospira, questo ha delle caratteristiche abbastanza peculiari. I feti vengono spesso espulsi in stato di autolisi dal momento che la morte avviene in utero molto tempo prima dell’eliminazione. La morte del prodotto del concepimento può essere dovuta all’invasione diretta da parte delle leptospire oppure come conseguenza delle lesioni necrotiche, di natura ischemica, a livello dei placentomi.

La variabilità eziologica e clinica della leptospirosi impone necessariamente il ricorso al laboratorio per poter confermare un sospetto clinico. Generalmente i segni più importanti che richiedono un approfondimento diagnostico sono i seguenti:

  • Alto tasso di aborti, in particolare con feti macerati o autolitici.
  • Agalassia improvvisa in numerosi soggetti.
  • Forma clinica grave (soprattutto nei bovini giovani).

Il gold standard per la diagnosi di leptospirosi è l’esame di microagglutinazione, indicato con l’acronimo MAT, come raccomandato dalla WOAH (World Organisation for Animal Health).

Quando c’è un forte sospetto clinico (aborto), il test di microagglutinazione è quasi sempre sufficiente per confermare la malattia, specie quando i titoli sierologici sono molto alti (>1:400). Un altro esame diagnostico molto utile è la PCR. Il test ELISA invece, sebbene sia più semplice ed economico, viene usato come test di screening ma mai per confermare la malattia.

La terapia della leptospirosi è possibile sia come intervento in fase clinica acuta che in fase di infezione cronica. Le molecole maggiormente utilizzate come primo intervento sono l’ossitetraciclina e la streptomicina.

Tra i CIA (Critical Important Antibiotics), il ceftiofur e la tulatromicina sono risultati efficaci in uno studio di Cortese et al. del 2007.

Il controllo della leptospirosi si basa innanzitutto su rigide misure di biosicurezza. La recinzione del perimetro aziendale ed un buon piano di derattizzazione sono la principale misura di protezione dai sierotipi accidentali veicolati da roditori, suidi (per esempio cinghiali) e altri animali selvatici.

Le pozze di acqua stagnante, in particolare nei paddock, sono da evitare categoricamente in quanto le leptospire possono sopravvivere per molto tempo in quelle condizioni ambientali.

Per proteggersi dai ceppi adattati, e quindi veicolati dai bovini portatori in forma cronica, la migliore garanzia è il ricorso ad una rimonta esclusivamente interna. Negli allevamenti con una rimonta esterna, dopo l’acquisto degli animali, è necessario un periodo di quarantena in cui effettuare una sorveglianza clinica e dei test sierologici.

In Italia, la profilassi immunizzante (vaccinazione) è possibile ma solo con un vaccino stabulogeno allestito da alcuni Istituti Zooprofilattici (per esempio IZSLER e IZSUM) in quanto non esistono prodotti commerciali disponibili.

La protezione della malattia da parte del vaccino non è mai completa ed occorre sempre affiancare alla vaccinazione anche un buon protocollo di profilassi diretta.

La leptospirosi è una di quelle malattie poco considerate ma particolarmente temibili in zootecnia. Purtroppo, la sintomatologia è aspecifica, soprattutto nei bovini adulti, e questo ha contribuito a far sì che, ancora oggi, sia pesantemente sotto-diagnosticata negli allevamenti.

 

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