1405* 1o dicembre 2025
Si segnala una seria crisi per il grano duro e l’olio extravergine in Italia, attribuibile in larga parte alle massicce importazioni di prodotti stranieri a basso costo e di scarsa qualità, che stanno comprimendo i prezzi e mettendo in difficoltà migliaia di imprese agricole.
Oltre il 50% del grano canadese importato, ad esempio, presenta danni causati da insetti, funghi e chicchi germogliati, una qualità molto scadente che in molti mercati risulta invendibile (questo problema era già noto da almeno un decennio).
Questo tipo di grano giunge in Italia praticamente raddoppiato rispetto all’anno precedente, favorito dall’azzeramento dei dazi grazie all’accordo commerciale Ceta tra UE e Canada.
Tale situazione danneggia il grano nazionale, aggravando le difficoltà di un comparto già fragile.
Inoltre, il grano canadese viene trattato con glifosato, vietato in Italia per ragioni di salute pubblica, generando una concorrenza sleale.
Parallelamente, anche il comparto dell’olio extravergine di oliva affronta criticità: le importazioni estere sono cresciute del 67% nei primi otto mesi del 2025, con un picco del 93% in agosto, provocando un calo del 20% del prezzo dell’olio italiano, che è sceso al di sotto dei costi di produzione.
Le scorte di olio sono aumentate, in particolare quelle straniere, raddoppiate rispetto all’anno precedente, mentre le giacenze di olio italiano sono cresciute solo dell’8,7%.
Si reclamano controlli più rigorosi sull’origine e sui residui fitosanitari, oltre a un monitoraggio delle speculazioni finanziarie nel settore.
Questa situazione di mercato distorto mette a repentaglio quasi 140.000 aziende agricole italiane, soprattutto in aree interne maggiormente vulnerabili, e solleva preoccupazioni riguardo alla sicurezza alimentare e alla competitività del comparto agroalimentare nazionale.
Intanto, secondo un nuovo rapporto della Corte dei conti europea, la Commissione europea non è riuscita a valutare e ridurre adeguatamente gli effetti o i rischi derivanti dall’uso dei pesticidi, a causa della carenza di dati rigorosi.
Inoltre, il rapporto evidenzia che il sostegno alle pratiche integrate di gestione dei parassiti (IPM) risulta gravemente insufficiente, nonostante l’applicazione dei principi IPM sia obbligatoria e costituisca un elemento chiave della strategia per diminuire la dipendenza degli agricoltori dai pesticidi.
La Corte ha valutato se l’azione dell’UE abbia ridotto i rischi legati all’uso di pesticidi a seguito della direttiva del 2009 sull’uso sostenibile dei pesticidi, mirata a minimizzare i pericoli per la salute umana e l’ambiente.
Il rapporto riconosce che sono state intraprese iniziative a livello europeo per promuovere un utilizzo sostenibile dei pesticidi, ma conclude che i progressi nella misurazione e nella mitigazione dei rischi associati sono stati limitati.
Fino ad oggi la Commissione europea non è stata in grado di ridurre e controllare in modo sostanziale i rischi correlati all’impiego di pesticidi da parte degli agricoltori.
Gli auditor hanno riscontrato che le statistiche sulle sostanze attive e sul loro impiego pubblicate da Eurostat non sono abbastanza dettagliate o aggiornate per risultare utili, e che i dati forniti dagli Stati membri mancano di armonizzazione.
Inoltre, gli indicatori di rischio alla base delle valutazioni non sono adeguati perché non considerano le modalità, i luoghi e i tempi di utilizzo dei prodotti.
Gli auditor hanno anche criticato i “fattori di ponderazione” utilizzati negli indicatori, sostenendo che sono stati scelti per enfatizzare la riduzione stimata del rischio derivante dalla diminuzione delle vendite di sostanze ad alto rischio, piuttosto che sulla base di criteri scientifici.
Perciò, il rapporto conclude che la Commissione non dispone ancora di una solida base di conoscenze per valutare se la direttiva abbia effettivamente raggiunto l’obiettivo dell’UE di rendere sostenibile l’impiego dei pesticidi.
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